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Continue rivelazioni sui giornali e nuove inchieste della magistratura continuano ad alimentare ipotesi terrificanti su talune delle vicende centrali della storia recente dell’industria del petrolio nella nostra regione: le multinazionali del greggio condizionerebbero in negativo politica, giustizia e, quindi, la stessa vita quotidiana dei cittadini lucani.

Due notizie apparse oggi sui giornali devono far riflettere attentamente i cittadini sugli interessi che si nasconderebbero dietro l’oro nero: in particolare, lascia esterrefatti la constatazione che esiste un vero e proprio “muro di gomma” che permette di agire indisturbati e facendosi beffe della legge, dei beni e degli interessi collettivi.

La prima notizia riguarda l’email del povero ingegner Griffa, nella quale viene confermato che i famosi serbatoi del COVA, nei quali a gennaio 2017 sono state riscontrate le fuoriuscite di greggio, risultavano corrosi già dal 2013: in verità dalle risposte ottenute ad una nostra richiesta di accesso agli atti, abbiamo potuto appurare che le criticità ai predetti serbatoi risultano essere ancora più datate. Una situazione che apparirebbe, quindi, ben nota all’ENI molti anni prima che i fatti diventassero di pubblico dominio: la compagnia petrolifera sembrerebbe aver avuto contezza delle perdite ai serbatoi colabrodo del COVA e dei conseguenti esiziali rischi che correva il territorio lucano. Se tale quadro fosse confermato, si tratterebbe di una vicenda gravissima che il Movimento 5 Stelle Basilicata ha denunciato più volte, sia all’opinione pubblica che posto all’attenzione della magistratura. Siamo in attesa di risposte: se le ipotesi innanzi prefigurate fossero riscontrate dagli inquirenti, ENI avrebbe agito con leggerezza e spregiudicatezza, causando, molto probabilmente, ingentissimi danni ambientali.

La seconda notizia sconcertante è quella che ipotizza la presunta contiguità rispetto ad una rete di soggetti dediti a pratiche criminali (di natura corruttiva e depistaggi di indagini) di un alto magistrato del TAR di Basilicata, che non risulta indagato, ma compare in una intercettazione del GICO della Guardia di Finanza. Quanto sta emergendo dall’indagine che ha portato all’arresto - tra gli altri -  dell’avvocato dell’ENI, è a dir poco inquietante poiché coinvolgerebbe una serie di magistrati (tra cui un ex Presidente del Consiglio di Stato) e metterebbe in evidenza un metodo collaudato di corruzione “sistemica” finalizzato ad “aggiustare” processi a vantaggio dell’ENI.

Si tratta di ipotesi di sconvolgente gravità e che non può lasciare la politica silente. Nonostante, è bene precisarlo, pare si tratti di indagini e, fino alla sentenza passata in giudicato, tutti devono essere ritenuti innocenti, è altrettanto chiaro che esista un problema “politico” e, finanche etico che riguarda la stessa presenza di ENI e delle altre multinazionali petrolifere sul territorio lucano e la loro oggettiva (seppur potenziale) capacità di soggiogare le istituzioni pubbliche, imponendo i propri interessi a scapito di quelli dei cittadini lucani (tutela dell’ambiente e della salute, su tutti) .

E’ il momento che la politica lucana accetti la sfida di confrontarsi anche sulle conseguenze dirette e indirette che la presenza delle compagnie petrolifere comportano per i lucani. Assoggettamento totale alla volontà delle compagnie da parte dei decisori politici, ricatto occupazionale, imbavagliamento di ogni forma di dissenso sulla politica energetica? Ecco i quesiti che con urgenza dovrebbero essere posti al centro dell’agenda politica regionale.

Gianni Perrino
Gianni Leggieri
M5S Basilicata