animazione.gif

image-18-07-19-02-32.png

Risale a febbraio 2019 la proposta avanzata dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna di organizzare il sistema educativo secondo la disponibilità economica di ogni singola Regione. 

In pratica, la regionalizzazione della scuola riguarda il modo in cui alcune regioni potrebbero stabilire in autonomia la propria offerta formativa e il trattamento economico degli insegnanti, attraverso concorsi regionali ad hoc. In altre parole, si attuerebbe un sistema scolastico differenziato in materia di organizzazione didattica, offerta formativa, alternanza scuola-lavoro, assegnazione di contributi alle scuole paritarie e per il diritto allo studio, trattamento economico del personale scolastico, criteri per la selezione del personale e dello scorrimento delle graduatorie.

La proposta, senza dubbio, va a favore delle Regione più ricche e a discapito di quelle più povere.

Indubbiamente ci sono esigenze di qualificazione o riqualificazione del sistema scolastico a livello generale e locale, peraltro generate proprio da una devolution in atto negli ultimi vent’anni, i cui effetti disastrosi dovrebbero indurre maggiore prudenza in chi evoca scuole regionali e forme ulteriori di differenziazione.

Qualsiasi ragionamento sulla scuola e sui suoi ordinamenti deve necessariamente partire da un preciso presupposto culturale e giuridico: la scuola non è un servizio, la scuola è un’istituzione con un preciso mandato costituzionale. Basti pensare all’attuazione del principio di uguaglianza e di pari opportunità sancito dall’articolo 3 della nostra Costituzione, del principio di libertà della cultura sancito dall’articolo 33 e del principio di inclusione sancito dall’articolo 34, in cui si afferma che la scuola è aperta a tutti e non solo ai cittadini italiani!

Questi sono alcuni degli insegnamenti che ci hanno  trasmesso padri e madri costituenti, che non a caso hanno assegnato alla scuola un così rilevante spazio negli articoli della nostra Carta.

La regionalizzazione della pubblica istruzione, quindi, può definirsi una proposta incostituzionale poiché non trova spiegazione nelle proposte atte a diversificare l’offerta formativa, già abbastanza flessibile grazie all’autonomia scolastica. Al contrario, mira a differenziare classi di dipendenti dello Stato, diversificare gli stipendi, diversificare la spesa sulla scuola.

La scuola, invece, deve essere uguale e accessibile a tutti, senza distinzioni, in  ogni regione.  Fornire una diversa qualità dell’istruzione, basata su discutibili parametri quali ad esempio la “ricchezza prodotta dal territorio”, lede i principi della Carta Costituzionale.

La scuola è da sempre garanzia dell’unità del nostro Paese e dei diritti di cittadinanza di chi lo abita (cit). La scuola, infatti, è stata garanzia di unità all’indomani della formazione del Regno d’Italia, lo è stata all’indomani della proclamazione della Repubblica italiana e lo è oggi, nelle difficili condizioni nazionali e sovranazionali in cui versiamo per ragioni economiche e politiche. La scuola è attualmente l’istituzione che, forse più di ogni altra, sta garantendo la tenuta sociale di milioni di cittadini disorientati.

Lo Stato, quindi, ha il dovere di fornire la stessa offerta formativa e di istruzione a tutti i cittadini sul territorio nazionale. Qualunque ipotesi di frammentazione, parziale o totale, blanda o radicale, del nostro sistema nazionale di istruzione, erroneamente concepito come servizio anche da tanti decisori politici evidentemente analfabeti sul piano costituzionale, deve immediatamente essere eliminata da qualsiasi accordo, intesa o disegno di legge.

Il lavoro degli insegnanti, dei dirigenti e di tutto il personale della scuola ha lo stesso valore su tutto il territorio nazionale, perciò non può essere condivisibile ogni ipotesi di differenziazione e di trattamento salariale tra personale che opera su regioni diverse.

Differenziare gli stipendi dei docenti e del personale ATA nelle scuole, come previsto dalla regionalizzazione della scuola promossa dal MIUR, andrebbe a minare l’integrità del sistema scolastico, oltre che aumentare il divario tra regioni ricche del Nord e quelle del Mezzogiorno.

La regionalizzazione della scuola con la sua pretesa, ancora tutta da dimostrare, di rendere più vicino alle istanze del territorio e dinamico il sistema scolastico è un aperto atto ostile contro il Sud Italia perché, ovviamente, premierebbe soltanto il Nord e quelle regioni che oggi possono permettersi maggiori risorse, scavando così un solco ancora più profondo tra Settentrione e Mezzogiorno. Otterremmo, insomma, l'esatto contrario di quello che i rapporti più seri sulle dinamiche sociali del nostro Paese sostengono, dal Censis allo Svimez, secondo i quali urge la  necessità di riequilibrare tale divario con politiche e interventi mirati.

Invece, i nostri governanti a trazione "nordista" spingono sull'acceleratore dell'autonomia, pretendendo di tenere per sé il maggior numero di risorse, senza preoccuparsi degli altri, di chi resta indietro; altri italiani come loro che, però, grazie alla secessione dei ricchi saranno un po' meno italiani di loro. Come dire: prima gli italiani, certo, ma del Nord!

Per queste ragioni è auspicabile che la proposta di regionalizzazione dell'istruzione non veda mai la luce, perché ciò rappresenterebbe la distruzione definitiva della scuola e con essa del futuro del nostro Paese.

Italia in comune Policoro