E’ di queste settimane il dibattito, spesso polemico, dopo l’adozione del Regolamento Urbanistico di Policoro, la presentazione in conferenza stampa della proposta di Regolamento Urbanistico della città di Matera e la progettazione della importante cerniera tra centro storico e città nuova quale è Piazza della Visitazione a Matera. A breve, inoltre, la Regione Basilicata avvierà la redazione del proprio Piano Paesaggistico. Il tema mancante in tutte queste vicende si chiama partecipazione, o meglio corretta partecipazione democratica.
La disciplina urbanistica, o meglio di pianificazione urbanistica, è cosa legittima e auspicata. È una potente arma nelle mani della politica, per questo motivo lenta e purtroppo, troppo spesso, strumentale. La redazione di piani strutturali, operativi, particolareggiati o regolamenti urbanistici, nel corso degli anni, ha subìto un processo evolutivo che ha portato a nuove definizioni e accezioni culturali, soffermando l’attenzione sull’uomo, sui cittadini, attori e fruitori.
Dal 1978, anno in cui venne pubblicato uno dei testi fondamentali dell’architettura e dell’urbanistica, L’architettura della città di Aldo Rossi, alla contemporanea definizione di “Progettazione partecipata”, ogni azione teorica o pratico applicativa di pianificazione urbanistica è intesa come processo partecipato democratico, come metodo di costruzione delle decisioni con il coinvolgimento degli utenti. Per “progettazione partecipata” si intende, quindi, un metodo diverso di affrontare la progettazione, non più solo in mano a tecnici e professionisti, in molti casi avulsi dalla realtà contestuale della città o della porzione urbana, ma coinvolge realmente e da vicino i cittadini, utenti principali e interlocutori fondamentali a fornire risposte qualitative per il proprio territorio.
L’evoluzione della città è un processo obbligato dai tempi, che impongono nuovi linguaggi e nuove e rinnovate esigenze e funzioni del vivere quotidiano. “In epoca moderna gran parte di queste trasformazioni possono essere spiegate dai piani, in quanto sono questi la forma concreta con cui si manifestano le forze che presiedono alla trasformazione delle città; i piani sono qui intesi come quelle operazioni compiute dalla municipalità, in maniera autonoma o accogliendo proposte di privati, che prevedono, coordinano e operano sugli aspetti spaziali della città.” (Aldo Rossi, 1978). L’intero processo di pianificazione, così come legittimato dal diritto urbanistico, è quindi legittimamente affidato alle amministrazioni, secondo i diversi livelli di competenza, e risulta, dunque, un “fatto politico”, caratterizzato da una visione politica che richiede responsabilità e non pregiudizio. Una pianificazione partecipata necessita tuttavia di tempi lunghi, nell’imprescindibile analisi dello stato di fatto, degli aspetti sociali e urbanistici, e nelle successive premesse, ma permette di agevolare la successiva fase di redazione progettuale, evitando errori frutto della superficialità nell’analisi o della speculazione urbanistica, edilizia e quindi intellettuale. Questo processo, diffusamente impiegato poiché virtuoso, necessita però di garanzie, di stabilità politica, di dialogo pubblico e di reale trasparenza. La strumentalizzazione politica moderna spesso cade nell’errore di voler trasmettere ai cittadini, elettori o potenziali tali, a tutti i costi, un’immagine di efficienza, che nella maggior parte dei casi è il prodotto di una superficiale questione di tempo. Il risultato è quasi sempre a scapito della qualità dell’offerta, perché l’obiettivo si riduce soltanto a quello di poter offrire qualcosa – non importa esattamente cosa – che un giorno si possa rivendicare, come azione politica, e vantare mediaticamente o in ipotetici futuri comizi di piazza.
Nella piena legittimità dell’azione di pianificazione urbanistica da parte delle amministrazioni pubbliche la richiesta è univoca e altrettanto legittima: è un diritto e dovere poter partecipare al processo evolutivo della città, senza dimenticare che gli amministratori cambiano, e passano, ma i cittadini restano. Quello che veramente serve e si chiede è ben poco: avere l’umiltà di porsi delle domande e non credere sempre di avere una verità in tasca, più vera di quella altrui. Forse solo così sarà possibile evitare di trasformare un regolamento urbanistico in un piano stradale per la sinuosa viabilità urbana.
CI RIGUARDA
Associazione Politico Culturale