Ma non sono più oggetto di attenzione nè della politica, né della cultura disciplinare, né di quella amministrativa
I grandi cambiamenti sociali quali l’ invecchiamento, la mobilità della popolazione, l’aumento di nuclei familiari con uno o due componenti, la riduzione della capacità di spesa, unitamente ai cambiamenti economici come la crescita smisurata di richiesta turistica, di attività innovative, di attività culturali, di attività che attengono a filiere alimentari corte, di artigianato di qualità, e più in generale la crescita della “cultura immateriale” pongono, paradossalmente, la città storica in posizione privilegiata rispetto alle parti più recenti, ma per calare queste nuove realtà e questi cambiamenti in contesti delicati quali le parti storiche, occorrono attenzioni e regia pubblica. Ecco perché serve investire sui Centri Storici con strategie appropriate: essi sono le vere “fabbriche sostenibili” di cui il nostro Paese ha disperato bisogno per consolidare quella qualità di vita che rappresenta, oltre che ricchezza culturale, il nostro maggiore fattore di competitività territoriale. E’ quanto emerso a Matera nel corso del Convegno “Patrimonio e qualità dell’architettura tra tutela e trasformazione della città storica” organizzato dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori e inserito tra le iniziative italiane dell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale 2018. “I centri storici italiani - sottolinea il Consiglio Nazionale - non sono più oggetto di attenzione nè da parte della classe politica italiana, né da parte della cultura disciplinare, né di quella amministrativa. Dopo i dibattiti del secolo scorso, la stagione dei Piani di Recupero si è conclusa rapidamente alla fine degli anni ‘90 con la chiusura delle linee di finanziamento che hanno azzerato gli investimenti strutturali su queste parti di città che pure rivestono, almeno nell’immaginario collettivo, il luogo della nostra identità.
Questo ruolo di “luogo dell’anima italiana” è ben presente nei milioni di turisti che queste parti urbane attirano e nei numerosi episodi di vivacità imprenditoriale che comunque danno vita ai nostri Centri città”. “Se si analizza quanto accaduto negli ultimi decenni nei centri storici, le indagini fotografano fenomeni contraddittori, sempre estremi: ora luoghi di grande richiamo turistico, ora luoghi dell’abbandono da parte dei residenti, ora luogo delle movide notturne, ora luogo per soli immigrati, ora luogo di eccellenti recuperi culturali, ora luoghi dell’abbandono irreversibile”. La realtà è che molti centri storici sono effettivamente decaduti e altri al contrario, sono vitalissimi e in grado di trascinare la qualità socio-economica dell’intera città cui afferiscono: dimensioni e contesto fanno la differenza. I centri storici per un secolo sono stati guardati, studiati, pianificati all’interno di un irreale recinto che divideva la città contemporanea da quella storica. Lì dentro si sono pianificati Piani di Recupero o Norme speciali, senza la piena consapevolezza che la vita, l’assetto e l’equilibrio della città storica dipende dall’osmosi con il contesto, relazioni e ricadute che esistono a prescindere dalla loro considerazione da parte di Amministratori, progettisti, portatori d’interesse in genere. Stato Centrale e Amministrazioni locali hanno investito negli ultimi anni molto poco sulle parti storiche delle città relegando a vincoli di tutela il ruolo di “Amministrazione” del Bene comune e del Patrimonio culturale, economico e sociale che essi rappresentano. I privati, laddove l’economia è vitale, hanno realizzato recuperi e restauri, evitando in molti casi la rovina del patrimonio, ma questi interventi non hanno avuto - nè lo potevano avere - il respiro di recupero strutturale.