Apprendo con dispiacere, ma purtroppo senza alcuno stupore, delle dimissioni del primario del reparto di ostetricia e ginecologia dell’ospedale “San Giovanni di Dio” di Melfi, Francesco Bernasconi.
Il transito delle meteore non è una novità per la nostra bistrattata regione, eppure, questa volta, la mangiatoia deve essersi esaurita prima del previsto: dopo soli sette mesi, il primario Bernasconi – dopo i fasti e i lustrini della gloriosa accoglienza presso il presidio ospedaliero di Melfi – prepara le valigie e riparte alla volta della più benevola Brianza, disposto a pagare persino una multa, pur di fuggire via, lontano dalla Basilicata. Una riflessione è d’obbligo. Cosa induce un professionista appena divenuto primario ad abbandonare repentinamente il “proprio”, si fa per dire, ospedale? Il dott. Bernasconi, come si apprende dai canali stampa, ha denunciato le numerose debolezze che affliggono il nostro sistema sanitario, lamentando, in aggiunta, una serie di richieste disattese: pare, infatti, che l’investimento economico promesso dalla Regione a favore del reparto di ginecologia di Melfi non sia mai avvenuto; che il suddetto reparto viva con soli 4
assistenti che non usufruiscono di riposi, di ferie, né di recuperi; che l’acquisto degli strumenti richiesti non sia stato compiuto…
Difficile, soggiunge il primario, lavorare in un clima di instabilità come quello che regna sovrano, ormai da anni, presso l’ospedale di Melfi. Difficile lavorare sotto l’intermittente mannaia della chiusura del reparto.
Ricordiamo bene la fiducia che era stata riposta nella ripartenza del punto nascita di Melfi, sotto la guida del nuovo primario Bernasconi: l’obiettivo era quello di raggiungere le 500 nascite all’anno, numero necessario a garantire la sopravvivenza del reparto. Memorabile l’inaugurazione-farsa di qualche mese fa da parte del sindaco di Melfi, così come le rassicurazioni dell’amico, oggi consigliere regionale, Marcello Pittella. Come dimenticare l’amabile conversazione tra i due, in piena campagna elettorale, ai piedi del bellissimo palazzo vescovile di Melfi. Sorridevano simpaticamente e promettevano futuri radiosi per il presidio ospedaliero della città federiciana. Mentivano. Più recenti, invece, sono le dichiarazioni fatte dall’assessore Leone, che annuncia nuove assunzioni e rafforzamento dei reparti. Ad oggi, non abbiamo assistito a nulla di tutto ciò. Le promesse di investimento e sostegno economico fatte dalla Regione sono state puntualmente deluse e, nel giro di sette mesi, la Basilicata si è trasformata da “Terra promessa” in “Terra dei cachi”. La fuga dalla Basilicata è un film a cui troppo spesso abbiamo assistito e che non smette di
suscitare rabbia. Rabbia per un terra che continua a essere sfruttata, in primis, da chi la governa e che ha scelto di non investire sulle proprie risorse, svendendole al primo offerente. Il problema è duplice: da un lato, la nostra regione pare non essere minimamente attrattiva né per coloro che vi nascono, indotti o costretti a cercare migliori opportunità al di là dei nostri confini, né per coloro che vi arrivano per mettere a disposizione la propria professionalità;
dall’altro, chi approda nella landa lucana per qualche tempo, generalmente, lo fa con il solo obiettivo di guadagnare qualche scatto di carriera, per poi andare via con il nuovo gallone appuntato sul petto. E qui cosa resta, se non la desolazione di una terra in cui non si registra alcuna crescita, né in termini demografici né in termini economici e culturali? Una regione di passaggio, una regione priva di appeal, una regione da cui fuggire. Noi abbiamo scelto di scommettere sulla nostra Basilicata e continuiamo a crederci, con ostinazione, ma la fiducia non basta: occorrono investimenti significativi e ponderati, a partire
dal sistema sanitario. Mai come in questi giorni, abbiamo toccato con mano il valore imprescindibile della salute e della sua cura. Per affrontare queste crisi, tuttavia, non bisogna affidarsi alla fortuna né ai miracoli, ma investire su una rete ospedaliera virtuosa e robusta, in grado di sostenere tanto la gestione ordinaria quanto quella straordinaria. E, invece, continuiamo a perdere pezzi, continuiamo a franare, a inaugurare reparti e a chiuderli il giorno dopo.
Resta tanta amarezza, a cui si aggiunge soltanto la curiosità di assistere alla prossima festante e luccicante inaugurazione, a cui, per rispetto dei cittadini lucani, chiediamo di non essere invitati.
Il transito delle meteore non è una novità per la nostra bistrattata regione, eppure, questa volta, la mangiatoia deve essersi esaurita prima del previsto: dopo soli sette mesi, il primario Bernasconi – dopo i fasti e i lustrini della gloriosa accoglienza presso il presidio ospedaliero di Melfi – prepara le valigie e riparte alla volta della più benevola Brianza, disposto a pagare persino una multa, pur di fuggire via, lontano dalla Basilicata. Una riflessione è d’obbligo. Cosa induce un professionista appena divenuto primario ad abbandonare repentinamente il “proprio”, si fa per dire, ospedale? Il dott. Bernasconi, come si apprende dai canali stampa, ha denunciato le numerose debolezze che affliggono il nostro sistema sanitario, lamentando, in aggiunta, una serie di richieste disattese: pare, infatti, che l’investimento economico promesso dalla Regione a favore del reparto di ginecologia di Melfi non sia mai avvenuto; che il suddetto reparto viva con soli 4
assistenti che non usufruiscono di riposi, di ferie, né di recuperi; che l’acquisto degli strumenti richiesti non sia stato compiuto…
Difficile, soggiunge il primario, lavorare in un clima di instabilità come quello che regna sovrano, ormai da anni, presso l’ospedale di Melfi. Difficile lavorare sotto l’intermittente mannaia della chiusura del reparto.
Ricordiamo bene la fiducia che era stata riposta nella ripartenza del punto nascita di Melfi, sotto la guida del nuovo primario Bernasconi: l’obiettivo era quello di raggiungere le 500 nascite all’anno, numero necessario a garantire la sopravvivenza del reparto. Memorabile l’inaugurazione-farsa di qualche mese fa da parte del sindaco di Melfi, così come le rassicurazioni dell’amico, oggi consigliere regionale, Marcello Pittella. Come dimenticare l’amabile conversazione tra i due, in piena campagna elettorale, ai piedi del bellissimo palazzo vescovile di Melfi. Sorridevano simpaticamente e promettevano futuri radiosi per il presidio ospedaliero della città federiciana. Mentivano. Più recenti, invece, sono le dichiarazioni fatte dall’assessore Leone, che annuncia nuove assunzioni e rafforzamento dei reparti. Ad oggi, non abbiamo assistito a nulla di tutto ciò. Le promesse di investimento e sostegno economico fatte dalla Regione sono state puntualmente deluse e, nel giro di sette mesi, la Basilicata si è trasformata da “Terra promessa” in “Terra dei cachi”. La fuga dalla Basilicata è un film a cui troppo spesso abbiamo assistito e che non smette di
suscitare rabbia. Rabbia per un terra che continua a essere sfruttata, in primis, da chi la governa e che ha scelto di non investire sulle proprie risorse, svendendole al primo offerente. Il problema è duplice: da un lato, la nostra regione pare non essere minimamente attrattiva né per coloro che vi nascono, indotti o costretti a cercare migliori opportunità al di là dei nostri confini, né per coloro che vi arrivano per mettere a disposizione la propria professionalità;
dall’altro, chi approda nella landa lucana per qualche tempo, generalmente, lo fa con il solo obiettivo di guadagnare qualche scatto di carriera, per poi andare via con il nuovo gallone appuntato sul petto. E qui cosa resta, se non la desolazione di una terra in cui non si registra alcuna crescita, né in termini demografici né in termini economici e culturali? Una regione di passaggio, una regione priva di appeal, una regione da cui fuggire. Noi abbiamo scelto di scommettere sulla nostra Basilicata e continuiamo a crederci, con ostinazione, ma la fiducia non basta: occorrono investimenti significativi e ponderati, a partire
dal sistema sanitario. Mai come in questi giorni, abbiamo toccato con mano il valore imprescindibile della salute e della sua cura. Per affrontare queste crisi, tuttavia, non bisogna affidarsi alla fortuna né ai miracoli, ma investire su una rete ospedaliera virtuosa e robusta, in grado di sostenere tanto la gestione ordinaria quanto quella straordinaria. E, invece, continuiamo a perdere pezzi, continuiamo a franare, a inaugurare reparti e a chiuderli il giorno dopo.
Resta tanta amarezza, a cui si aggiunge soltanto la curiosità di assistere alla prossima festante e luccicante inaugurazione, a cui, per rispetto dei cittadini lucani, chiediamo di non essere invitati.
Carmela Carlucci - Movimento 5 Stelle Basilicata Consiglio Regionale