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1737041625-Don_Tommaso_GPII_e_Giussani.jpgAnimo gentile e appassionato educatore, ha convinto molti a non abbandonare la Basilicata e ad avere fede nei nuovi inizi
Domenica 29 dicembre, nella cattedrale di Tursi, in Basilicata, il vescovo Vincenzo Carmine Orofino ha dato il via ufficiale alla causa di beatificazione di don Tommaso Latronico, sacerdote carissimo a migliaia di amici sia lucani sia romani. I primi studenti che si coinvolsero nella nascente comunità universitaria di CL nella capitale lo ricordano, nei primi anni Settanta, giovane seminarista, felice di una vocazione ritrovata grazie anche all’amicizia con don Donato Perron e poi con don Giacomo Tantardini e don Lorenzo Cappelletti, figure a cui rimase legato per sempre, anche dopo il ritorno nella sua regione, dove fu amatissimo insegnante di religione nelle scuole di Matera e parroco nel paese natale, Nova Siri. 
Colto, capelli scompigliati, gentile per natura e gioioso per grazia, Tommaso amava lo studio ma ancora di più era affezionato agli studenti che, sempre più numerosi, grazie a persone come lui scoprivano il fascino dell’avventura cristiana provenendo dalle più diverse esperienze. La domenica lo vedevamo, con la stessa naturalezza, conversare con Aldo Moro al termine della messa in via Merulana e nel pomeriggio tirare calci al pallone con noi neofiti della comunità nel campetto della periferica parrocchia di san Policarpo, sorta a ridosso delle arcate dell’acquedotto Felice, divenute riparo per centinaia di “baraccati”. A proposito di Moro, tanta era la stima per Tommaso che volle essere presente, a Roma, alla sua ordinazione sacerdotale nel 1973. 
Personalmente tanti ricordi mi legano a lui. La notte del 2 febbraio 1975 subii una sanguinosa aggressione da parte di militanti neofascisti; mentre su una lettiga i portantini mi spingevano di corsa verso la clinica della chirurgia d’urgenza e si temeva per la mia vita, era proprio Tommaso a starmi accanto, bianco in volto, cercando di darmi conforto fin dentro la camera operatoria. Leggendarie le vacanze che volle organizzare, poche settimane dopo la sua ordinazione, in Basilicata, con una ventina di universitari romani accompagnati da don Giacomo: da quegli incontri con i giovani del posto nacquero diverse vivaci comunità, non solo a Nova Siri, anche a Senise e a San Chirico Raparo.
Tommaso ci lasciò per una grave malattia, improvvisamente, nel 1993. Aveva appena 44 anni.  Al suo funerale, il 22 luglio a Nova Siri, presero parte una settantina di sacerdoti e 5mila fedeli, in maggioranza studenti lucani che lo avevano conosciuto e amato. Durante la celebrazione, un forte acquazzone creò qualche scompiglio, ma la maggior parte della gente restò immobile sotto la pioggia battente. Ricorda don Giovanni Grassani, suo amico fraterno col quale ha condiviso tutta la vita: «Non pioveva da molto tempo e quella pioggia estiva fu vista come una benedizione venuta dal Cielo a irrigare una terra inaridita. Quasi un segno di quella benedizione che ha rappresentato per tanti di noi la vita di don Tommaso».

Don Giovanni ha dato vita ad un’Associazione che raccoglie i suoi scritti e le testimonianze degli amici, preparando il terreno alla causa di canonizzazione. «Il vero miracolo che basterebbe a confermarne la santità – dice don Giovanni – è la storia incredibile di fede e di comunione nata attorno a lui nei vent’anni trascorsi insieme tra Matera e Nova Siri». Tra i primi sostenitori della causa c’è stato il vescovo Franco Gualdrini, che ebbe Tommaso come seminarista quando era rettore del Collegio Capranica a Roma e rimase sempre a lui affezionato; già nel 2009 scriveva all’allora vescovo di Tursi, monsignor Nolè, di ritenere don Tommaso «degno di un processo di beatificazione». Testimonianze rifluite nel paziente lavoro del Postulatore, don Pierpaolo Cilla, il cui Libello ha persuaso i vescovi della Basilicata a concedere il via libera al percorso canonico verso l’onore degli altari. Uomo del profondo Sud, uno dei tratti distintivi di Tommaso è stato l’amore alla sua terra. Racconta ancora don Giovanni Grassani: «Di fronte allo spopolamento dei nostri paesi, lui, facendo leva sulla fede comune in Cristo e sulla comune passione per il destino della nostra gente, è riuscito a motivare tanti amici a non abbandonare la Basilicata, aiutando la nascita di svariate opere educative, caritative, economiche…». 
Don Giussani aveva grande stima di Tommaso. Gli affidò anche la cura degli universitari del movimento a Bari. Un periodo fecondo, con il fiorire in alcuni giovani di vocazioni al sacerdozio, alla vita religiosa, nei Memores Domini. In occasione della morte di Tommaso, don Giussani invitò tutti gli amici a pregare la Madonna «perché la sua azione sia continuata con la stessa fede e la stessa purità».  Un’espressione particolare, «purità» che da allora è rimasta in testa a don Giovanni: «Credo la intendesse nel senso di quel passo della regola di san Benedetto che invita i monaci a “nulla anteporre all’amore di Cristo”».
Quando la malattia assalì il suo corpo, Tommaso accettò di farsi curare a Roma. Un ritorno denso di ricordi, «dove tutto ebbe inizio», annotava nel suo diario. Ma gli era sempre più chiaro che non bastano le rimembranze del passato a mantenere giovane il cuore. Nei mesi della malattia scriveva ad un amico: «Quello che mi interessa dirti, Marco, è che la fortuna vostra e mia non è solo la fedeltà a una storia iniziata, ma negli inizi nuovi, capaci di mutare il contenuto del presente». E ancora, in un altro scritto, avendo in mente una poesia di Ada Negri: «Giovinezza, non t’ho perduta… Se non è il ricordo a rendere amici, ma una cosa nuova e viva che sta accadendo ora, oh giovinezza, non ti ho perduta…».
(Fonte Comunione e Liberazione)